venerdì 14 novembre 2008

cuore nero

Oggi sono stato di malumore praticamente tutto il giorno. O meglio, ero incazzato nero. Devo ringraziare le sentenze sul processo per i fatti del G8 alla scuola Diaz. O per essere più precisi, i "non" fatti. Praticamente quella notte i manganelli si sono mossi per vita propria, gli scarponi in faccia hanno avuto un motu proprio indipendente dalla volontà di coloro che li indossavano. Nessuno ha dato nessun ordine di fare irruzione nella scuola. Viene da chiedersi come mai girassero pure degli elicotteri in cielo quella notte, o forse sono una nuova specie di volatili autoctoni attirati dal trambusto di quel palazzo. Non mi resta che proporre il commento finale di Marco Menduni, dal Secolo XIX di oggi, che ha seguito tutte le fasi processuali a partire dall'uccisione di Carlo Giuliani alle "non" torture della caserma di Bolzaneto, e che qualcuno conoscerà per i suoi passati musicali.
Finito l’ultimo, grande processo sulle sciagurate giornate del luglio 2001, vale la pena di tirare le somme. E provare a tradurre, con parole facili, il significato delle sentenze.
Carlo Giuliani è morto mentre dava l’assalto a una camionetta dei carabinieri; chi gli ha sparato è stato scagionato perché non poteva far altro per difendersi. O almeno così credeva.
Tra i vandali di Genova ben pochi sono stati identificati, ma quei pochi sono stati condannati a pene severissime con la contestazione di un reato inedito (nell’applicazione) dall’era post-bellica: devastazione e saccheggio. Gli altri, quelli che si sono scontrati con la polizia durante le manifestazioni, avevano qualche giustificazione in più e i giudici sono andati con mano leggera, paternalistica.
Nella caserma-carcere di Bolzaneto non ci sono state torture, né era un lager. Era un luogo in cui sono accaduti alcuni brutti episodi di maltrattamento, ma non di più di quanti ne accadano in situazioni del genere, quando il numero dei fermati è molto alto e c’è molta confusione.
E alla Diaz? La colpa è stata tutta di un gruppo di agenti esaltati. Sono entrati nella scuola con l’idea di vendicarsi dei manifestanti che per due giorni li avevano tenuti in stallo. I loro capi non sono stati capaci di frenare le loro intemperanze. Poi due amici hanno portato le false molotov nella scuola nel tentativo di tirarli fuori dai guai, quando ormai il danno era stato fatto. Non c’è stato nessun complotto, nessuna pianificazione, nessun ordine venuto dall’alto. I vertici della polizia erano assolutamente inconsapevoli delle scellerate intenzioni dei picchiatori. Non l’hanno mai sospettato. Innocenti sulla fiducia, tanto da esser tutti promossi prima dell’assoluzione.
Piaccia o non piaccia (e a botta calda non piace molto), il significato delle sentenze che hanno concluso il grosso dei procedimenti per i fatti del G8 è questo.
A meno di clamorose inversioni di rotta in secondo grado (ma intanto arriverà la prescrizione a cancellare quasi tutti i reati), questa è la verità giudiziaria sui fatti. La “verità” che arriva dopo più di sette anni di inchieste e di processi, di testimonianze e di liti, di accuse e di veleni.
Il livello di polemica resterà inalterato, finché il ricordo dei giorni di Genova non si scolorirà nel tempo. Il responso delle aule giudiziarie ha però offerto una “verità” quasi inattesa, comunque la si pensi. A Genova, in quei giorni, non è successo (quasi) niente.

Quindi l'unica colonna sonora che mi è venuta in mente è questa:
BODY COUNT "Cop Killer" live

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